Bonsai
Il maschile e il femminile

Scritto da Carlo Scafuri takumilifestyle.com -

Quella del Bonsai (盆栽: da “bon” - vassoio o vaso - e “sai” - prendersi cura, coltivare -) è un’antica arte giapponese che permette di compenetrarsi nella Natura. L’origine di tale pratica è antica ed a tratti incerta. Nata in Cina, attraverso il buddismo - ponte fondamentale tra le due culture - giunse in Giappone dove assunse ed inglobò aspetti shintoisti e taoisti, diventando una vera e propria arte capace di esprimersi attraverso un’estetica profondamente legata alla Natura.

Così come per le altre arti tradizionali nipponiche, anche quella del bonsai è una pratica in continua evoluzione, un viaggio senza una vera e propria meta, volto ad un “semplice” insegnamento: non esiste che il qui ed ora. Ciò che la rende diversa dalle altre, è che in questo caso l’oggetto della pratica è esso stesso soggetto in continuo divenire. Durante la formazione di un bonsai, ad un certo punto, per quanto la sua forma possa essere stabilita come definitiva, in realtà non è che una “fotografia istantanea” scattata in un particolare momento da noi scelto per poterla rappresentare; in quanto soggetto vivo, e benché in modo più o meno impercettibile, lo scorrere del tempo continuerà a mutarne la forma ancora e ancora.

Avere un bonsai da educare e di cui prendersi cura, vuol dire comprendere la sua unicità. Compito del bonsaista è quindi permettere a tale unicità di potersi esprimere liberamente e con armonia, in primis attraverso il linguaggio dell’estetica tradizionale giapponese. In parole povere, il nostro piccolo albero dovrà poter comunicare la propria essenza attraverso una forma naturale tra le infinite possibili. Nell'imprimere una forma il fine del bonsaista non sarà quindi il mero raggiungimento di un ideale estetico, ma il farsi mezzo attraverso il quale il piccolo albero possa esprimere se stesso e la natura di cui è emanazione.

Educare un bonsai implica quindi entrare in sintonia con esso, scoprirne e comprenderne il carattere, per poi valorizzarlo il più possibile attraverso una forma coerente. Ma cosa vuol dire “scoprire e comprendere il carattere” di un bonsai? Significa rivelarne le qualità, dalle quelle più palesi a quelle più nascoste, considerandone con attenzione pregi e difetti. La prima, quella più evidente ed impattante sin dal primo sguardo, è senz’altro la distinzione tra ‘maschile’ e ‘femminile’... e qui si apre un vero e proprio dedalo concettuale dal quale cercheremo di uscire facendo luce sugli aspetti più salienti.

Già a una prima occhiata può venire istintivo antropomorfizzare le forme e ascriverle a uno dei due generi. Ad esempio: un albero grosso dal tronco maestoso e con una chioma imponente, può facilmente riportarci a caratteristiche di tipo maschile, mentre un esile ciliegio in fiore o una callicarpa vestita dei suoi soli grappoli di frutticini purpurei, richiama subito alla mente dei connotati femminili.

Ogni essenza ha caratteristiche che possono indurci a inserirla in una delle due categorie benché, come vedremo, questa distinzione non sia così facilmente definibile a priori. Questi aspetti sono stati ben illustrati dal Maestro Hideo Suzuki (allievo dello Oyakata Motosuke Hamano) durante i tanti anni in cui ha ricoperto il ruolo di insegnante in Italia presso la Scuola d’Arte Bonsai di Maria Teresa Volonterio. Fondamentale ed essenziale è stato il contributo che ha dato per l’apprendimento delle tecniche e della filosofia che sono alla base della vera arte bonsai.

Per i giapponesi - generalmente - le conifere sono definite come maschili, mentre le caducifoglie e le essenze da fiore e frutto sono tendenzialmente femminili; eppure ogni essenza, a sua volta, può confermare o meno questa categorizzazione in base ad altre caratteristiche specifiche delle singole varietà. Per cui: il pino nero è considerato maschile, quello bianco, femminile; l’acero tridente - pur essendo una caducifoglia - è associato al maschile, quello palmato invece è femminile. Queste distinzioni non sono né dogmatiche né frutto di una semplicistica classificazione, ma figlie di attente e secolari osservazioni degli alberi nei loro ambienti naturali. Ad esempio, il kuromatsu (pino nero) si presenta come un albero estremamente vigoroso, dotato di aghi lunghi e spessi, nonché di corteccia dalle grosse placche, e quindi maschile.

Il goyōmatsu (pino a cinque aghi o pino bianco) è invece caratterizzato da ciuffetti di aghi più delicati, e da una corteccia finemente frastagliata, quindi femminile.

Caratteristiche analoghe per l’acero tridente e palmato: il primo tende a sviluppare un tronco imponente dalle salde radici superficiali, ed una vegetazione ricca e forte (maschile).

Il secondo, invece, è caratterizzato da un tronco snello e slanciato, con fronde più diradate e leggere (femminile).

Il Maestro Suzuki era solito insegnare efficacemente queste differenze ricorrendo ad analogie e similitudini (a volte davvero ironiche) col corpo umano… e così l’acero arakawa (un tipo di acero palmato dotato di corteccia particolarmente rugosa) non poteva essere un buon albero femminile perché sarebbe sembrato una donna coi baffi. Oppure, che la corteccia degli aceri palmati andava spazzolata a schiarita (solitamente con l’utilizzo di una blanda soluzione a base di calce e zolfo, comunemente chiamato liquido jin) così da richiamare alla mente l’immagine dei volti delle Geisha.

L’osservazione della natura era il costante invito da parte del Maestro per capire e comprendere tali qualità, esortazione particolarmente importante per definire le diverse tipologie degli alberi squisitamente nostrani, specialmente quelli della macchia mediterranea caratterizzati da peculiarità spesso contrastanti.

Il possesso di qualità e particolarità appartenenti al principio opposto il più delle volte è necessario affinché si possa esaltarle ed arricchirle attraverso un abbinamento dei contrari. Viceversa, la sola netta adesione a modelli stereotipati, implica, il più delle volte, il raggiungimento di una forma a dir poco grottesca. La singolarità da far risaltare nel nostro bonsai risiede anzitutto in quella miscela unica ed irripetibile in cui sussista il giusto bilanciamento tra i tratti maschili e femminili.

La grandezza e le proporzioni del tronco e dei rami, la compattezza delle masse vegetative, la dinamicità o la staticità espressa, il rapporto ed il ritmo tra gli spazi, la presenza o meno di legno secco, sono soltanto alcuni degli elementi estetici che tendono a spostare l’ago della bilancia tra il maschile ed il femminile. Il bonsaista, una volta compresa l’anima - la quintessenza - dell’esemplare che ha davanti, deve operare delle scelte di armonizzazione o di conciliazione fra i contrari, come accade in una sinfonia in cui si alternano più voci, qui più forti e decise, là più delicate e struggenti. La bellezza dell’opera si basa proprio sulla complessità, e deve ad essa il suo fascino e la sua espressività, dove il femminile ed il maschile sono due forze che si rinforzano a vicenda e che concorrono allo sviluppo più pieno dell’innato carattere.

L’estetica tradizionale giapponese, si basa su codifiche ed indicazioni le cui radici sono comuni praticamente a tutte le arti, e non solo, e che per fortuna ci vengono in aiuto. Tra queste troviamo la classificazione nei tre stili shin, gyō, sō, definibili (non senza un piccolo abuso di linguaggio) come formale, semi-formale, informale, in virtù del rigore più o meno espresso dall’estetica stessa del soggetto. In tale classificazione, shin è solitamente abbinato al carattere maschile, a quello femminile, e gyō alla miscellanea tra i due opposti. Forme dalle linee marcate e simmetriche appartengono allo stile shin-maschile, mentre quelle dalle linee morbide ed asimmetriche appartengono prevalentemente allo stile -femminile.

Questa formalizzazione si estende a tutti gli altri elementi collegati al bonsai, in primis al vaso, il cui peso ed importanza incidono enormemente nell’armonia del bonsai inteso come abbinamento albero-vaso. I vasi (in gres) non smaltati sono solitamente considerati maschili e generalmente abbinati alle conifere.

I vasi smaltati invece, vengono considerati più femminili ed abbinati alle caducifoglie. A loro volta, i vasi con linee più squadrate e forme quadrate o rettangolari sono tendenzialmente shin, mentre gli altri si dividono tra gyō e sō.

Nel caso di un’esposizione bonsai, l’abbinamento albero-vaso va completata con altri elementi, quali il tavolino, l’elemento d’accompagnamento ed il kakejiku, ognuno di essi votato ad un’armonica simbiosi corale, ma in cui ognuno può incidere positivamente o negativamente sugli altri. L’esposizione classica del bonsai ne vede il suo posizionamento all’interno del tokonoma - nicchia espositiva tipica dell’architettura tradizionale giapponese, ed è volta ad omaggiare l’osservatore con le emozioni sussurrate dalla scena naturale espressa dall’armonia creata dal bonsai in relazione agli altri soggetti. In questo scenario metafisico che si dischiude dinanzi a noi, il bonsai è l’albero che racconta della natura in cui è immerso, l’elemento di accompagnamento, spesso una shitakusa (erbetta di compagnia) o un tempai (piccoli manufatti di bronzo raffiguranti solitamente animali) ne rappresenta la stagionalità (come accade per i kigo delle poesie haiku), ed il kakejiku (rotolo di stoffa o carta appeso verticalmente) ne completa la rappresentazione attraverso il dipinto o la calligrafia che mostra al suo interno.

Un apparente labirinto, sempre più diramato e complesso, dove il raggiungimento dell’enfatizzazione del carattere e delle qualità del bonsai sembra soccombere sotto il peso di mille variabili incontrollabili… eppure stiamo parlando di un aspetto semplice, basilare, che siamo istintivamente portati a riconoscere. Così come per gli abbinamenti cromatici, per sottolineare un carattere anziché un altro, possiamo usare due banali strategie, quelle dell’affinità e del contrasto.

Nel primo caso l’enfatizzazione si raggiunge mettendo in risalto caratteristiche simili: ad un bonsai con un tronco sinuoso cercheremo di selezionare pochi rami con movimenti simili che possano maggiormente mettere in luce l’eleganza e la femminilità dell’esemplare. Nel secondo caso, l’obiettivo si raggiunge puntando l’attenzione su un qualcosa di completamente diverso: ad un bonsai apparentemente ‘neutro’ potremo abbinare un vaso molto squadrato e spigoloso così da far risultare l’insieme più maschile, o, con una scelta diametralmente opposta, sceglierne uno più morbido e colorato così da caratterizzare il tutto con aspetti più femminili.

Come sempre accade praticando quest’arte, anche in questo caso il bonsai si rivela un silente Maestro di vita, insegnandoci che la diversità è ricchezza, ed è per tale diversità che l’unicità diventa mirabile qualità e non bieco difetto.

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