Cina - La carta e i libri senza carta
La dinastia dei letterati

Scritto da Isabella Doniselli Eramo www.icooitalia.it -

Uno studio di un pioniere della sinologia di inizio Novecento ha anticipato gli esiti delle ricerche archeologiche che hanno portato alla luce i libri scritti su liste di bambù.

La carta è uno dei grandi ritrovati di cui il mondo intero è debitore della Cina, insieme al tè e alla seta. In realtà, come è ampiamente illustrato nella colossale opera enciclopedica di Joseph Needham, Science and Civilisation in China (Cambridge University Press, 1954-2011) la cultura ufficiale cinese è orgogliosa soprattutto di quelle che definisce le Quattro Grandi Invenzioni che hanno dato un importante impulso alla civiltà del mondo intero: carta, stampa, polvere da sparo e bussola. Ma non può essere sottovalutata l’importanza di altre innovazioni quali: la bachicoltura per la produzione della seta, la porcellana, il tè, la cartamoneta, l’agopuntura, l’aquilone, il sismometro, i fuochi d’artificio, la balestra, le bombe incendiarie, le bombe a granata, le vaccinazioni, la dietetica, il carbone combustibile, il lanciafiamme, la fusione dell’acciaio, molti giochi da tavolo e sportivi.

È innegabile che, fra tutti, il ritrovato che ha dato al mondo il maggior apporto in termini utilità pratica e impulso alla diffusione della cultura, sia la carta. Da quando si è diffusa dalla Cina nel resto del mondo, infatti, la carta è diventata il supporto della memoria scritta di tutte le culture, più accessibile, più economico, più facilmente conservabile di ogni altro. E non va sottovalutato il ruolo svolto dalla carta nell’introduzione della stampa: un enorme balzo in avanti per la diffusione e la condivisione della cultura e dei saperi, che, senza il supporto della carta, non sarebbe stato possibile. Se poi si riflette, anche solo per un momento, su come sarebbe la nostra vita, anche negli aspetti quotidiani più banali e umili, in assenza di carta, non si può non constatare che veramente questa invenzione cinese ha cambiato la storia dell’umanità intera.

Il merito della scoperta, secondo la storia ufficiale cinese, è dell’eunuco di corte Cai Lun che, nella Cina della dinastia Han, nel 105 d.C. presenta all’imperatore He Di un memoriale nel quale illustra il nuovo materiale, all’epoca probabilmente fabbricato con corteccia di gelso. Ovviamente Cai Lun ha fatto proprio e ha presentato il frutto di lunghi decenni di tentativi, di esperimenti, di risultati e fallimenti e perfezionamenti ottenuti da generazioni di geniali sperimentatori, tutti tesi alla ricerca di un supporto adeguato per la scrittura. Per cinquecento anni circa, la Cina detiene il monopolio della fabbricazione della carta; poi, nell’anno 610, secondo la tradizione, fa la sua comparsa in Giappone, proveniente dalla Corea, per merito del monaco buddhista coreano Dam Jing.

Tuttavia fin dai primi passi degli studi sinologici in Europa, agli orientalisti di fine Ottocento e inizio Novecento, si è presentato un quesito: i cinesi, popolo di antica e raffinata cultura, disponevano di libri fin da tempi molto lontani, almeno dall’epoca Shang (siamo tra il 2000 e il 1500 a.C.), quindi molti secoli prima che Cai Lun ufficializzasse il suo ritrovato. E molti di questi testi sono pervenuti fino a noi. Dunque: come erano questi “libri senza carta”? La prima risposta è venuta da un insigne studioso francese di inizio Novecento.

Nel 1905 Emmanuel Édouard Chavannes, finissimo studioso dell’antichità cinese, pioniere della sinologia, ha saputo ricostruire con grande competenza e con un intuito straordinario la struttura dei libri e dei documenti ufficiali della Cina arcaica, nei secoli precedenti all’invenzione della carta.

Chavannes era nato a Lione il 5 ottobre 1865, in una famiglia borghese originaria di Charmoisy (Savoia). Aveva compiuto gli studi liceali tra Lione e Parigi, dove si era trasferito per preparare gli esami d'ammissione all'École Normale Supérieure, nella quale entrò nel 1885, nella sezione di Letteratura. Dopo tre anni, decise di dedicarsi allo studio della filosofia cinese; poi, si orientò per la storia della Cina, che fino ad allora non aveva incontrato molto interesse in Occidente, e iniziò a frequentare i corsi di cinese classico e di cinese mandarino. Uscito dall'École Normale, per approfondire i suoi studi, chiese e ottenne di essere inviato a Pechino in qualità di addetto volontario alla legazione francese in Cina. Partito il 24 gennaio del 1889, arrivò a Pechino il 21 marzo successivo e vi rimase fino al 1893.

Durante la permanenza in Cina, tra l’altro, nacque il suo grande interesse per l'opera monumentale di Sima Qian, le Memorie storiche (Shiji), della quale iniziò ben presto la traduzione, la prima in ordine di tempo in tutto l'Occidente (la prima edizione in italiano, ancora parziale, è del 2017, Luni Editrice, trad. e cura di V. Cannata, mente è attesa entro quest’anno l’edizione integrale, stesso editore, stesso curatore).

Alla morte del marchese d’Hervey de SaintDenys (3 novembre 1892), titolare della cattedra di Lingue e letterature cinese e tartara manciuriana, presso il Collegio di Francia, Chavannes, che era ancora in Cina, fu chiamato a succedergli e rientrò a Parigi: aveva 28 anni.

Da quel momento e fino alla prematura morte (29 gennaio 1918), svolse un’intensa attività di insegnamento e di diffusione degli studi storia e di pensiero della Cina antica, ricevendo anche numerosi e importanti riconoscimenti accademici e pubblici.

L'opera alla quale Chavannes teneva soprattutto era la traduzione delle Memorie storiche di Sima Qian. Dal 1895 al 1901 videro la luce 5 volumi su 10. Al secondo volume, nel 1897, fu assegnato il premio Stanislas Julien dell’Académie des Inscriptions et BellesLettres. Purtroppo, Chavannes, sollecitato da tanti lavori nuovi e interessanti, e pressato da mille impegni di studi e ricerche, non giunse alla conclusione di questa impresa.

Fu autore molto approfondito e molto prolifico e uno dei suoi studi più originali affronta proprio il tema della struttura dei libri cinesi precedenti alla scoperta della tecnica per fabbricare la carta. Si tratta di Les livres chinois avant l'invention du papier, in Journal asiatique, janvier-février 1905. Nel 2018 ne è stata pubblicata la prima traduzione italiana (a cura di V. Cannata, Luni Editrice).

Va sottolineato che ai tempi di Chavannes la ricerca archeologica non era ancora sviluppata in Cina e si disponeva di pochissimi e frammentari reperti, nessuno dei quali in grado di fornire una testimonianza precisa della struttura di un libro precedente all’invenzione della carta. Infatti solo negli anni 1900-1901, l'archeologo britannico Sir Marc Aurel Stein al rientro da una campagna di ricerche in Asia, affidò a Chavannes la decrittazione di numerosi documenti raccolti nell’area a quel tempo nota come “Turkestan cinese”. La traduzione e le note di Chavannes furono inserite in un’opera in due volumi pubblicata dallo stesso Stein nel 1907 (Ancient Khotan: Detailed report of archaeological explorations in Chinese Turkestan, Clarendon Press, London 1907), ma soprattutto fornirono al sinologo francese materiale significativo per la stesura del suo studio.

La genialità e l’intuizione di Chavannes risiede proprio nell’essere riuscito - in presenza di pochissime e frammentarie prove materiali, e quindi basandosi soltanto su informazioni dedotte dai testi che andava via via traducendo – a ipotizzare la storia e la conformazione dei libri in Cina nei tempi più antichi, arrivando persino a dimostrarne la correttezza sulla sola base dei documenti scritti. Soltanto nei decenni successivi, con il progredire delle ricerche archeologiche, i reperti si sono moltiplicati, consentendo importanti progressi e approfondimenti sul tema e dimostrando ancora una volta che le intuizioni di Chavannes avevano colto nel segno.

Certo, il sinologo francese non è riuscito a determinare con certezza le date dei vari passaggi della storia del libro in Cina e, forse, non aveva neppure interesse a farlo. Quello che importa è che è riuscito a stabilire che, mentre era noto già ai suoi tempi che anticamente in Cina si scriveva su rotoli di seta, l’uso di questo supporto di scrittura è stato preceduto dall’utilizzo di bambù e altri legni leggeri come frassino o pioppo.

Bisogna anche tenere conto che la seta era un supporto molto costoso e che richiedeva una serie di trattamenti preparatori per poter essere resa adatta alla scrittura. Il suo utilizzo era quindi limitato a documenti di particolare importanza, a scritture ufficiali, a testi sacri. Non è pensabile che si potesse usare per intere opere librarie di molti volumi. Inoltre gli stessi testi classici della letteratura cinese fanno sovente riferimento all’utilizzo della seta, nota fin dal III millennio a.C., per l’abbigliamento, per arredi sacri, per vessilli e insegne nobiliari. Raramente la citano come supporto di scrittura. L'alto costo dovette sempre limitarne l'uso nella produzione dei libri, e in seguito fu abbandonato del tutto, in favore della carta. I libri di seta erano presumibilmente riservati alle classi sociali più elevate, ai re e ai principi. Pare che la biblioteca imperiale degli Han (206 a.C. – 220 d.C.) ne contenesse molti.

La materia prima per i libri di bambù o altro legno era certamente meno costosa. Il lavoro di scrittura, tuttavia, non era semplice: sulle liste si scriveva con una particolare vernice che solo per comodità chiamiamo semplicemente “inchiostro” e con uno stilo simile a una sorte di grosso pennino, chiamato “bi”, anch’esso di bambù. Le correzioni si facevano raschiando il carattere da sostituire con la lama del coltello, strumento indispensabile dello scrivano. Chavannes ricava tutte queste informazioni dalla lettura delle cronache più antiche, nelle quali si imbatte nel corso del suo lavoro di traduzione del testo di Sima Qian e nella lettura di altri testi fondamentali quali i Classici Confuciani, l’enciclopedia Erya, le storie ufficiali delle antiche dinastie, il Daodejing, ecc.

Così, «la seta, da un lato, per l'elevato costo e la sua deteriorabilità, e il legno, dall'altro lato, per la scarsa maneggevolezza e il lavoro impegnativo che richiedeva, finirono per essere sostituiti, come supporto per scritti e per libri, dalla carta, materiale sottile e leggero, e tuttavia abbastanza resistente, che ne ha completamente rivoluzionato la diffusione: la transizione, però, fu lenta, e durò parecchi secoli, più di quattro dalla sua invenzione. Ma questa è un'altra storia » (V. Cannata, in É. Chavannes, I libri in Cina prima dell’invenzione della Carta, Luni Editrice, p. 10).

Dalle sue letture degli antichi testi cinesi, Chavannes riesce anche a dedurre approssimativamente le dimensioni dei libri di bambù (altezza e larghezza delle singole liste di legno), il numero di liste mediamente contenute in ogni “rotolo”, la tecnica con cui erano legate tra loro e il materiale (cuoio o seta) di cui erano costituiti i legacci che le tenevano unite. E ciò che colpisce è che tutte le sue deduzioni sono state confermate dal progredire delle ricerche archeologiche che – negli ultimi decenni del XX secolo e nei primi anni del XXI – hanno portato alla luce e messo a disposizione degli studiosi molti esemplari di “volumi” di bambù di epoca Han (III sec a.C.- III sec. d.C.) e pre Han.

Contestualmente, Chavannes sviluppa uno studio parallelo sui metodi e gli strumenti di scrittura e sintetizza nel suo “Les livres en Chine…” le informazioni dedotte dalla lettura dei testi antichi anche in merito alla nascita e all’evoluzione della calligrafia. Afferma, infatti, che in origine, nei documenti più antichi, non si utilizzava neppure una vera a propria scrittura, ma tecniche di annotazione più rudimentali, quali cordicelle annodate o tavolette di legno segnate da tacche. A dimostrazione di ciò, cita passaggi di testi classici in cui si afferma la sopravvivenza di tale usanza presso tribù “barbare”. La stessa prefazione dello Shujing (il classico confuciano dei Documenti storici), attribuisce al mitico sovrano Fuxi “l’invenzione dei contratti scritti per sostituire le corde annodate”. (É. Chavannes, cit. p. 35). Il passaggio intermedio dell’uso delle tavolette di legno incise con tacche e segni convenzionali (il cui uso è attestato da documenti riferiti all’epoca Zhou, tra il XII e il III sec. a.C.), sfocia naturalmente nella scrittura su tavolette o liste di bambù. Ma è ancora necessario incidere i caratteri nel legno o tracciarli con una apposita vernice. Per l’incisione dei caratteri si utilizzava uno speciale “coltello dello scrivano”, detto xiao, utilizzato anche per raschiare e cancellare. Per scrivere con la vernice, si usava, invece, uno stilo di legno, detto bi. Questi strumenti e questi materiali consentivano di tracciare caratteri molto rigidi, con tratti uniformi e il più delle volte tendenzialmente squadrati. Sarà l’introduzione della carta come supporto a consentire l’uso di un pennello morbido e di un inchiostro più diluito, con il risultato di una grafia più fluida e scorrevole che potrà evolvere in numerosi stili calligrafici diversi a seconda delle epoche e a seconda degli usi cui era destinata, facendo della calligrafia una delle grandi arti cinesi.

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