Ming
La dinastia dei letterati

Scritto da Isabella Doniselli Eramo www.icooitalia.it -

Per molto tempo nell’immaginario collettivo occidentale “Ming” è stato sinonimo di Cina, o meglio, di Celeste Impero. E non senza ragione.

Fin dagli ultimi decenni del Cinquecento e per tutta la prima metà del Seicento, colti intellettuali, scienziati e missionari gesuiti come Matteo Ricci, Michele Ruggeri, Martino Martini, Prospero Intorcetta (per citare solo i primi italiani in ordine di tempo. In realtà l’elenco sarebbe molto lungo se si volessero correttamente citare anche i loro confratelli portoghesi e francesi e altri come Adam Schall e Ferdinand Verbiest) con i loro scritti, relazioni, traduzioni, hanno diffuso in Europa un’immagine della Cina realistica, accurata, adeguata ai tempi, che cambiava radicalmente le idee e le convinzioni diffuse fin dal XIII secolo (e ormai radicate a tutti i livelli) da quell’opera conosciutissima, ma sospesa a metà strada tra la relazione di viaggio e il libro delle meraviglie, che era ed è Il Milione di Marco Polo.

Quella narrata dai gesuiti non è più la Cina medievale, favolosa e piena di meraviglie, vivace e cosmopolita, benché occupata dagli invasori mongoli e governata da un “Gran Khan” di origine straniera. È la Cina della sontuosa, potente, prospera dinastia Ming, che nel 1368 è riuscita a estromettere gli invasori mongoli e a rimettere sul trono sovrani in tutto e per tutto cinesi.

La dinastia è iniziata con l'energica azione del fondatore Zhu Yuanzhang (titolo di regno Hongwu, “magnificenza militare”, 1368–1398) volta a esaltare il carattere nazionalistico e la volontà di restaurazione dopo la dominazione mongola, presentando il proprio regno come l’epoca della rinascita cinese e del recupero delle migliori tradizioni nazionali: le istituzioni, l’economia agricola, la religione, l’etica, le arti. In particolare, l’azione del primo imperatore Ming punta al consolidamento dell’organizzazione statale e all’accentramento del potere imperiale. Questa impronta autoritaria resterà immutata per tutta la dinastia. Su questa solida base economica e politica l'imperatore Yongle (1403-1424) può realizzare il suo progetto di una Cina politicamente influente, economicamente prospera e culturalmente ricca e raffinata.

Edifica nella nuova capitale, Pechino, il palazzo imperiale più imponente e più splendido che la Cina abbia mai avuto, quello che, pur ampliato e modificato nei secoli, possiamo ammirare ancora oggi.

Vi costruisce anche molti altri monumenti e templi sontuosi, fra cui il Tempio del Cielo e il Tempio della Terra. Edifica interi nuovi quartieri, restaura le opere di irrigazione e le dighe, riattiva il Grande Canale Imperiale, la cui efficienza è essenziale per i rifornimenti di Pechino. Attua gran parte della ricostruzione della Grande Muraglia e fa realizzare un’enorme biblioteca nella quale raccogliere e custodire tutti i libri confuciani scritti dall’epoca di Confucio in poi.

Intraprende anche spedizioni navali (affidate all’ammiraglio Zheng He, tra il 1405 e il 1430) e missioni in Asia centrale, nel subcontinente indiano e in Tibet, allo scopo di affermare la potenza dell’impero cinese al di là dei mari e oltre i suoi confini, nonché di aprire nuove vie ai commerci. I successori di Yongle non sanno valutare l’importanza del dominio dei mari e sospendono queste imprese, considerandole inutilmente dispendiose, con la conseguenza che nei mari della Cina nel Cinquecento iniziano ad affacciarsi navi mercantili straniere.

I portoghesi ottengono il permesso di aprire stabilimenti commerciali a Macao, che diventa così la base della penetrazione europea in Cina. Intanto la dinastia Ming mostra i primi, profondi segni di decadenza. Si chiude in se stessa, in balia della corruzione dei funzionari e delle camarille di corte (in particolare succube dello strapotere degli eunuchi di palazzo), incapace di affrontare le nuove realtà, come l’arrivo degli occidentali o l’insorgere di rivolte di contadini esasperati per l'incompleta attuazione della riforma agraria promessa.

Ciononostante la dinastia Ming rimane una delle più ricche e splendide della storia della Cina, tanto sul piano economico quanto su quello culturale. Lo straordinario fiorire dei commerci porta enormi ricchezze al paese e agisce come fattore trainante anche per altri settori della vita economica. Il commercio di tessuti contribuisce allo sviluppo delle piantagioni di cotone e spinge alla crescita anche l’allevamento del baco da seta e tutta l’industria connessa con la produzione del prezioso tessuto. Contemporaneamente, la crescita esponenziale della domanda alimentare interna, fa sì che vengano introdotte nuove colture tra cui la coltivazione della canna da zucchero. Anche l’artigianato conosce una particolare fioritura e si afferma la figura dell’artigiano libero, che si dedica a tempo pieno all’attività della sua bottega. Una poderosa incentivazione all’artigianato è sostenuta dall’imperatore Yongle, che, per dare impulso alla nuova capitale, riunisce al proprio servizio a Pechino ben 27.000 artigiani. Nelle città sorgono vere e proprie manifatture: l’industria della porcellana si sviluppa soprattutto nel Jiangxi, l’industria tessile a Shanghai e a Nanchino, la tessitura della seta a Suzhou.

Fioriscono anche la siderurgia, specialmente nello Hebei, e la tintoria. Intanto l’arte della stampa assume un posto di rilievo fra tutte le attività artigiane. Si stampano enormi quantità di libri per un pubblico, quello degli artigiani e dei commercianti arricchiti, sempre più vasto ed esigente. Questo fenomeno accompagna lo sviluppo della letteratura in lingua popolare, che imprime una svolta cruciale all’evoluzione della letteratura cinese, dando vita ad alcuni straordinari capolavori del patrimonio letterario mondiale. Basti ricordare Il Romanzo dei Tre Regni (Sanguo Yanyi) di Luo Guanzhong (1330-1400 circa) che ricrea vivacemente la complessa storia della lotta politica e militare combattuta dopo la caduta della dinastia Han fra i tre regni di Wei, Shu e Wu (II–III sec. d.C.). L'autore raccoglie una gran mole di storie, saggi, aneddoti, novelle storiche e leggende popolari sui Tre Regni, aggiungendovi le proprie esperienze politiche e di guerra fra le truppe ribelli contadine, conferendo alla narrazione un valore universale (Cfr.: la nuova traduzione integrale in italiano a cura di Vincenzo Cannata, Luni Editrice).

Esempio insuperato di romanzo allegorico, invece, è Viaggio in Occidente (Xiyou Ji), pubblicato anonimo nel 1590 e attribuito tradizionalmente all'erudito Wu Cheng'en (1504? - 1582?). Il libro è una riflessione su quanto il buddhismo cinese abbia saputo conciliare, fondendo insieme armonicamente, ideali e aspetti del taoismo e del confucianesimo. Rappresenta inoltre un vero e proprio percorso di purificazione dei vari personaggi, che alla fine del viaggio giungono all'illuminazione (unica traduzione integrale in lingua italiana è quella a cura di Serafino Balduzzi, Luni Editrice).

Non mancano romanzi di costume che ritraggono la società borghese del tempo ed è molto vivace anche la produzione di novelle che rappresentano soprattutto vicende umoristiche o storie di apparizioni soprannaturali. È anche l’epoca della compilazione delle grandi enciclopedie e degli studi geografici, incentivati dalle spedizioni marittime dell’ammiraglio Zheng He. In campo filosofico fioriscono tentativi di conciliare il neoconfucianesimo con il buddhismo e di applicare i principi confuciani a politica, economia e sociologia.

Lo straordinario fervore costruttivo degli imperatori Ming, porta con sé un inedito splendore dell’architettura: tanto negli edifici quanto nei giardini e nel paesaggio, l’attività degli architetti è tesa a esaltare le bellezze naturali e a creare scenari di elegante armonia. Eleganza ed effetti cromatici sorprendenti sono anche le linee guida dell’arte della ceramica, che conosce una fioritura straordinaria, anche in virtù della richiesta commerciale proveniente dall’estero, che stimola una produzione di raffinate porcellane sempre più copiosa e fantasiosa; specialmente apprezzata e raffinata è la tipologia “bianco e blu”, caratterizzata da una decorazione dipinta in blu di ossido cobalto su fondo bianco, prima della stesura della coperta lucida, trasparente e incolore e successivamente cotta in un unico passaggio in fornace a temperatura superiore a 1300°C.

Prodotta nelle manifatture di Jingdezhen (Jiangxi), proprio sotto la dinastia Ming inizia a essere esportata in grandi quantità verso l’Europa fino a diventare una voce importantissima del commercio estero dell’impero. È la vera “gloria nazionale” cinese, che spopolerà sul mercato europeo, dando origine a fenomeni di sfrenato collezionismo da parte delle case regnanti e aristocratiche di tutta Europa, incentivando la ricerca e la sperimentazione e rivoluzionando l’intero settore ceramico occidentale impegnato a riuscire a riprodurre la pregevole porcellana. E negli ambienti aristocratici e intellettuali europei, contribuirà ad alimentare il fenomeno culturale del “Mito Cinese” tanto caro agli Illuministi, e sosterrà la diffusione del gusto per le “Chinoiserie” del tempo del rococò.

I primi imperatori Ming hanno potuto attuare con successo il loro ambizioso programma di consolidamento dell’impero e di recupero delle migliori tradizioni cinesi, grazie all’appoggio fattivo e convinto della formidabile classe dei funzionari confuciani. Questi eruditi, dotti, coltissimi letterati, costituiscono una classe compatta di uomini omogeneamente preparati, di sicura fedeltà all'imperatore e al potere centrale, custodi inflessibili delle tradizioni e del rispetto delle regole, depositari della morale e cultori delle arti e delle lettere. Insomma una vera e propria élite culturale e politica. Ed è a questa aristocrazia del sapere che l'imperatore affida il governo e l'amministrazione del suo impero, invece che all'aristocrazia di nascita o di censo come avviene, per contro, nell'Europa coeva.

Fin dai primordi dell'impero cinese centralizzato, la gestione degli affari pubblici in ogni campo - fiscale, giuridico, giudiziario, economico, militare, dei lavori pubblici ecc. – è stata affidata a una classe di funzionari di provata fedeltà e lealtà verso l'imperatore.

L'unificatore dell'impero, Qin Shihuangdi (anni di regno 221 - 210 a.C.) è stato il primo a esautorare l'aristocrazia terriera, di fatto estromettendola completamente dalla gestione della cosa pubblica e confinandola con un ruolo puramente onorifico all'interno di sontuose residenze nell'ambito della corte imperiale. L'amministrazione e il governo, sia centrali sia provinciali, sono di fatto consegnati nelle mani di uomini di fiducia, scelti personalmente dal sovrano.

Con la successiva dinastia Han (206 a.C. -220 d.C.) il sistema viene perfezionato con l'istituzione di un sistema di esami per la selezione dei funzionari statali. Le prove sono imperniate sull’approfondita conoscenza dei testi classici confuciani e dei relativi commentari: i candidati devono dimostrare di padroneggiare i fondamenti del pensiero confuciano, i dettagli dei riti e delle cerimonie, la storia, l'arte di governare e di amministrare la cosa pubblica. Successivi perfezionamenti introducono progressivamente prove supplementari, fino ad arrivare al periodo Ming, durante il quale si vuole verificare anche l’abilità e la competenza nelle “arti del letterato”: poesia, calligrafia, pittura e musica. Solo per chi intende dedicarsi alla carriera di funzionario militare sono previste materie più tecniche tra cui matematica, strategia, arti marziali, tiro con l'arco, sport equestri.

La selezione è severissima e nonostante il duro e costante impegno per la preparazione, nonostante lo spirito di sacrificio e la dedizione allo studio nell'arco di svariati anni, i promossi costituiscono un'esigua minoranza. Solo chi riesce a superare l'intera serie di esami (dal livello distrettuale, a quello provinciale fino all'ultimo stadio, le cui prove si svolgono a corte), può fregiarsi del titolo di jinshi (= letterato perfetto, ciò che in occidente è comunemente detto mandarino, dal portoghese “mandar” = comandare) e aspirare a un incarico nell'ambito dell'articolata burocrazia imperiale. A seconda della graduatoria degli esami e in virtù di particolari meriti eventualmente acquisiti, i “mandarini” sono inquadrati in una scala gerarchica che, a partire dall'epoca Ming, prevede nove livelli, identificati grazie a “insegne” -134mate applicate sugli abiti e a “bottoni” di materiali diversi a seconda del grado, posti sulla sommità del copricapo. Anche l'aver conseguito il più modesto nono grado è comunque motivo di grande orgoglio non solo per il diretto interessato, ma pure per l'intera famiglia e per il clan di appartenenza.

A rigor di termini soltanto chi ricopre un incarico ufficiale nell'ambito della burocrazia dello stato in campo civile o in campo militare può essere definito “mandarino”, in cinese guan (ufficiale, funzionario). Poiché gli incarichi hanno durata triennale ed è poi prevista una turnazione obbligatoria, non tutti i titolati agli esami ricoprono contemporaneamente incarichi ufficiali. Molti sono semplicemente in “riserva” o in attesa di assegnazione e a costoro non si dovrebbe applicare l'appellativo guan. Tuttavia, per estensione, è consuetudine indicare con lo stesso termine sia i funzionari in carica con precise responsabilità amministrative e di governo, sia i letterati che, pur avendo superato l'intero ciclo di esami e avendo, quindi, conseguito il titolo, sono in attesa di un incarico ufficiale e si dedicano, nel frattempo, allo studio, alle arti, all'insegnamento, all'amministrazione di beni privati.

I funzionari letterati, dunque, sono un'élite di uomini colti e raffinati, forgiati da lunghi anni di studio durissimo, temprati da un'estenuante serie di esami altamente selettivi, profondi conoscitori del pensiero confuciano e della sua etica, rigorosi e fedeli custodi della morale, strenui difensori del bene dello stato, unici e selezionati componenti dell'organizzatissima burocrazia imperiale. Su di loro l'imperatore può sempre fare affidamento.

Ma sono anche sensibili cultori delle arti più squisitamente ricercate: la poesia, la musica, la calligrafia, la pittura. Educati a cogliere nella natura e nei suoi minimi aspetti, il “soffio vitale”, il qi, che accomuna l'uomo e l'universo intero; quindi capaci di cogliere nel paesaggio circostante le più sottili atmosfere emotive e avvezzi a esprimere i moti del proprio animo attraverso immagini della natura.

Spesso costretto a lunghi, avventurosi ed estenuanti viaggi per adempiere ai doveri del suo incarico, il funzionario nel chiuso del suo studio ama circondarsi di piccole porzioni del mondo naturale, raffinati oggetti creati spontaneamente dalla natura e integrati nel suo angolo di lavoro: un portapennelli ricavato da un ramo, una radice d'albero trasformata in tavolino, una “pietra del letterato”, evocativa guida in miniatura a un ideale cammino di ascensione a una montagna, allusione e metafora del pellegrinaggio ai Monti Sacri della Cina. Né possono mancare raffinati e preziosi accessori di finissima porcellana o di giada o pregevoli reperti archeologici, elegantemente accostati a dipinti a inchiostro che lo studioso ama srotolare di volta in volta per il piacere di contemplarne le pennellate evocative e le suggestive iscrizioni.

Si materializza così, nello studio del letterato, l'ideale sintesi delle tre anime dell'”uomo superiore”, del jinshi (letterato perfetto): la rigorosa e razionale preparazione confuciana, la propensione a ricercare l'identificazione con la natura di matrice taoista e la spinta all'elevazione personale di ispirazione buddhista, anzi la spinta all'ascesi del buddhismo Chan (Zen).

A questi uomini straordinari e raffinati dobbiamo un corpus di opere letterarie che costituisce un ambito particolare e di estremo interesse nella produzione letteraria cinese: i diari di viaggio, un genere molto particolare e molto interessante, perché queste opere aprono straordinarie finestre di conoscenza degli aspetti più disparati della realtà cinese dell'epoca Ming.

Un esempio molto rappresentativo (forse il primo che abbiamo la possibilità di leggere in lingua occidentale) è il diario di Zhang Dai, detto Tao'an, intitolato Riminiscenze oniriche, recentemente tradotto in italiano direttamente dall'originale cinese da Armando Turturici e pubblicato da Luni Editrice nella collana Biblioteca ICOO.

Zhang Dai, in questo zibaldone – in cinese “note in punta di pennello” – ci ha lasciato un diario denso di ricordi tra sogno e realtà. Un insieme di appunti, di note, di riflessioni e descrizioni di luoghi e di eventi che ci rimandano un quadro vivido e palpabile del raffinato mondo delle élite culturali cinesi della fine della grande dinastia Ming.

Zhang Dai fa scorrere davanti ai nostri occhi luoghi appartati, angoli di natura incontaminata, templi affollati di pellegrini, monasteri silenziosi, giardini e boschi, montagne impervie, villaggi e città. Descrive feste tradizionali, sagre popolari, rituali intimi e raccolti. La rarefatta cerimonia del tè, la scelta oculata e competente delle foglie più adatte per l’infuso, secondo una sapienza antica e condivisa tra i raffinati uomini di cultura dell’antica Cina. Ma ci presenta anche i piatti tradizionali delle feste, le leccornie preparate nei villaggi durante le sagre, le più golose preparazioni per spensierati momenti conviviali. E ci parla di libri e biblioteche, il suo mondo, il suo pane quotidiano: scaffali sovraccarichi di libri e di strisce di carta e di seta arrotolate, i volumi degli studiosi del suo tempo, i “rotoli” sui quali egli stesso ha costruito la propria cultura e che lui stesso ha contribuito a compilare riempiendoli di colonne ordinate di minuti caratteri di scrittura.

E poi gli incontri e i personaggi che abitano quel mondo: dotti studiosi, barcaioli, contadini, tavernieri, monaci austeri, letterati gaudenti, poeti e artisti, cultori del tè, musicisti … un’umanità variegata ed eterogenea, che Zhang Dai incontra e descrive con simpatica partecipazione.

Nell’insieme, un ritratto sfaccettato e particolareggiato della Cina del suo tempo. Per noi, una lettura gradevole e varia, ricca di inaspettate sorprese, un viaggio immaginario in quella Cina della fine dei Ming, nella quale si volgeva l’audace avventura dei missionari gesuiti, che tentavano con competenza e coraggio di realizzare il primo approfondito incontro tra mondi culturali lontani.

Quest'opera ci dimostra che il letterato, il funzionario dell'amministrazione imperiale, nelle pause del suo impegno quotidiano, amava viaggiare anche per diletto, per ammirare i luoghi più affascinanti dell'impero e per conoscere importanti personaggi del suo tempo e le diverse realtà del variegato mondo cinese; ma amava anche passeggiare nel suo giardino, di cui curava i minimi dettagli, affinché fosse il più possibile espressione del fluire naturale delle cose, dell'eterno alternarsi di Yin e Yang, del susseguirsi incessante dei Cinque Elementi: terra, acqua, legno, fuoco, metallo. E nella contemplazione del paesaggio ritemprava lo spirito tramite il ritrovato contatto con la natura.

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