Il tatuaggio punitivo in Cina e in Giappone

Scritto da Costanza Brogi costanzabrogi.jimdofree.com -

Nel sistema penale del Giappone antico le punizioni a seguito di reati erano tante, ma una in particolare era il tatuaggio. Questo tatuaggio punitivo era inflitto per reati minori e ciò che rimaneva nella pelle del condannato era una sorta di fedina penale visibile a tutti. L’Irezumi, nel sistema penale dell’antico Giappone, si inserisce tra le pene previste per reati minori e come punizione aggiuntiva ad altre, come poteva essere ad esempio il Tataki, che consisteva letteralmente in bastonate. Il nome Irezumi入墨 deriva da 「入れる ireru, che significa inserire e 「墨 sumi, inchiostro.

Anche se è usato, oggi, per il tatuaggio figurativo, con questo termine ci si riferisce al tatuaggio fatto per marchiare i criminali. I maestri tatuatori tradizionali non parleranno mai dei propri lavori usando la parola irezumi, ma useranno altri termini, che possono essere, ad esempio, Bunshin文身」 generalmente usato nel periodo Meiji, Horimono彫物」e Shisei刺青」 più usato dal periodo Taishō. Nel Kansai sono invece preferiti i termini Gaman我慢 Horiire堀入」e Monmon紋紋」.

La principale funzione dell’irezumi era quella di identificare il condannato, marchiarlo per sempre e soprattutto riconoscere il luogo dove aveva commesso dei crimini, dal momento che la caratteristica dell’irezumi era quella di essere diverso a seconda del luogo in cui veniva eseguito.

In realtà il tatuaggio, inflitto come punizione non è un’invenzione giapponese, perché già in Cina lo vediamo, in date precedenti alle prime notizie che abbiamo dell’Irezumi in Giappone.

Il tatuaggio punitivo in Giappone, come abbiamo visto, è chiamato Irezumi入墨 mentre in Cina il suo nome è 「墨」e già dai Kanji vediamo che in entrambi i paesi, viene usato lo stesso carattere 「墨 che indica l’inchiostro.

Irezumi però, in Giappone, è il nome del marchio, perché la pena con cui veniva inflitto si chiamava Bokukei 墨刑 e nel periodo Edo era già una punizione ben strutturata e pensata, perchè ogni provincia aveva il suo marchio, anche se questi erano comunque tutti abbastanza simili tra loro.

Nel parlare del tatuaggio punitivo inizierò dalla Cina, prima di arrivare all’Irezumi giapponese, in modo da fare un discorso più completo riguardo questa forma di tatuaggio, ma anche per capirne differenze e similitudini.

In Cina la pena del tatuaggio era associata a moltissimi reati, tra cui furto ed adulterio, associata alla schiavitù o ai lavori forzati. In una Cina confuciana, nella quale si doveva preservare il corpo come ce lo avevano donato i nostri genitori, era molto disonorevole violarlo con un marchio come il tatuaggio, quindi questa punizione assumeva un significato ancora più umiliante.

In Cina il tatuaggio punitivo ha origini molto antiche, lo incontriamo addirittura in iscrizioni oracolari fatte sulle ossa. Nella dinastia degli Zhou occidentali (11° secolo a.C. – 770 a.C.) si differenziava già tra Mièwū, che significava un tatuaggio sullo zigomo e Chùwū dove i condannati, oltre al tatuaggio, dovevano indossare una sciarpa nera intorno alla testa, che indicava il fatto che erano anche condannati alla schiavitù. Questo aspetto può farci capire che in questi anni era già una pena abbastanza articolata.

Nello Shūjīng, noto anche come Shàngshū, una raccolta di documenti relativi agli eventi della storia della Cina antica, troviamo un capitolo, chiamato Lü Xing, dove viene descritto un codice penale risalente alla dinastia degli Zhou occidentali, dove viene menzionato il tatuaggio tra le 5 pene per i criminali. La prima di queste pene è appunto il Mò ed è la meno severa, quindi si descrivono criminali tatuati in faccia e si legge che era anche usato insieme ad altre pene.

Nella regione del Qín si usava per il tatuaggio punitivo la parola Qīng 「黥 e con la fondazione dell’impero, questa parola venne poi usata per i condannati in tutta la Cina.

Gradualmente però, oltre al tatuaggio fatto per punizione, nacque anche l’usanza di tatuarsi come decorazione e le due forme di tatuaggio hanno convissuto. Uno degli esempi più famosi dove vediamo il tatuaggio decorativo è il Shuǐhǔ Zhuàn, importante romanzo ambientato nella tarda dinastia Song che racconta le gesta di Song Jiang e della sua banda di 108 briganti, divenuto poi amatissimo in Giappone come Suikoden, dove alcuni personaggi sono descritti come tatuati.

Per quanto riguarda gli ultimi anni della dinastia Zhou, abbiamo notizie che il tatuaggio punitivo veniva all’epoca chiamato Cìzì刺字 o Cìmiàn 刺面 quando realizzato in faccia.

Durante la dinastia Han (206 a.C. - 220), l’imperatore Wen (180 a.C. – 157 a.C.) abolì tutte le mutilazioni infitte come pena, ma il tatuaggio rimase in vigore e venne usato occasionalmente, anche negli anni successivi. Generalmente lo si faceva per i crimini peggiori, quando si decideva di usarlo al posto della pena di morte, e in questi casi veniva sempre abbinato all’esilio.

Generalmente ai condannati veniva tatuato il carattere Jié 「劫 , che significa rapinatore, sulla faccia, poi si radevano i capelli e fissato un anello di ferro intorno al collo. Nel 515 l’imperatore Wu della dinastia dei Liáng (502-557) abolì la pratica.

Dopo la fine dell’epoca Tang (618-907) la Cina ha vissuto un periodo di frammentazione politica e fino alla dinastia Yuan (1271 – 1368) di etnia mongola, in tutta la regione, hanno convissuto regni distinti, uno nella maggior parte del territorio della Cina e i Liao, in parte del nord del paese, insieme a Manciuria e Mongolia. I Liao, di etnia Khitan, hanno governato in quella parte di territorio dal 907 al 1125, seguiti poi dalla dinastia Jin, di etnia Jurchen, dal 1115 al 1234.

In Cina, nord escluso, subito dopo la dinastia Tang c’è stato il periodo delle cinque dinastie e dieci regni, anni che vanno dal 907 al 960, di grande confusione e frammentazione, dove la regione venne ulteriormente divisa: a nord dello Yángzǐ, il fiume azzurro che divide in orizzontale il paese e termina il suo corso a Shangai, vi si susseguirono 5 dinastie diverse che si sono usurpate l’una con l’altra, mentre a sud dello Yángzǐ vi furono 10 regni diversi, anche questi in continua successione. Tutto ciò fino alla dinastia Song che mise fine a questo periodo turbolento.

In questo periodo di turbolenze politiche, fu nella dinastia dei Jin posteriori (936 - 946) , una delle 5 dinastie, che si tornò ad usare il tatuaggio punitivo, in combinazione con l’esilio. Il tatuaggio dei criminali rimase poi comune fino alla fine del periodo imperiale.

Durante la dinastia Song (950 - 1269) era in uso il tatuaggio di un cerchio dietro l’orecchio per i banditi, mentre per coloro che erano condannati a servitù, oppure per quelli che venivano inviati in esilio per tutta la vita, si faceva un quadrato.

Per tutti i criminali che avevano commesso un reato dove era prevista la punizione con le bastonate, si faceva un cerchio di poco più di un centimetro dietro l’orecchio. I recidivi venivano poi tatuati nuovamente, ma questa volta in faccia.

Eseguire un tatuaggio punitivo in Cina era permesso esclusivamente alle autorità, perché era vietato ai padroni tatuare i propri schiavi quale segno di riconoscimento.

Il tatuaggio però era in uso anche in quella parte di Cina governata da un regno diverso. Durante la dinastia Liao, che qui ricordiamo essere quella di discendenza Khitan, la pena del tatuaggio veniva sempre eseguita in combinazione con la servitù. Gli anni della servitù erano sempre conteggiati in base ai crimini, un anno di servitù per crimine commesso, e generalmente le pene più comuni erano di tre anni per tre crimini, ma se, ad esempio, i crimini erano 5, la condanna alla servitù era di 5 anni.

Sempre nella Cina del nord della dinastia Liao, i rapinatori erano tatuati nel braccio destro, mentre se recidivi si tatuava anche il sinistro. Se arrestati per la terza e la quarta volta, si tatuava prima la parte destra e poi la sinistra del collo. Alla quinta recidiva vi era la pena di morte.

Tuttavia durante il periodo dei Liao e oltre, il tatuaggio punitivo in questa zona subì piccoli cambiamenti, ad esempio durante la dinastia Jin (1115 - 1234) di etnia Jurchen, tutti i ladri erano tatuati e condannati a 3 anni di servizio militare, ma se il bottino rubato era più di 10 Guàn 「貫」gli anni di servizio diventavano 5. Tuttavia se i Guàn erano 30, il servizio militare da scontare era a vita e il tatuaggio veniva fatto sulla faccia. Con un furto di 50 o più Guan invece era prevista la pena di morte. Questo aspetto è molto simile a quello che poi avverrà in Giappone in epoche successive, come vedremo.

Durante la dinastia Yuan (1279 - 1368) , che fu quella di etnia mongola che riunificò tutto il paese, il tatuaggio punitivo continuò ad avere vita, in questi anni si tatuavano le braccia o il collo, ma la pena era prevista solo per gli uomini.

Durante la dinastia Ming (1368 - 1644) il tatuaggio sulla faccia veniva fatto solo per i membri sovversivi di fazioni avversarie a corte o per i ribelli, mentre i ladri erano tatuati sul polso, prima il destro e poi il sinistro, ma quando venivano trovati alla terza recidiva, venivano strangolati come pena di morte.

I ladri erano tatuati con i caratteri di Qiǎngduó 搶奪 che significa furto, quindi ladro. Inizialmente solo i ladri venivano tatuati, poi anche gli assassini, i disertori e i condannati all’esilio. I condannati alla servitù penale, in questo periodo, venivano tatuati in faccia, mentre per altri crimini sul lato sinistro veniva tatuato il tipo di crimine, mentre a destra il luogo di esilio. I disertori solitamente venivano tatuati sulla parte sinistra del corpo, mentre tutti gli altri criminali nella parte destra. Gli esiliati erano sempre tatuati sulle guance, spesso in una vi era il crimine, nell’altra il luogo d’esilio.

Nei vari anni e con il cambiare le dinastie, i marchi variavano un po’, lo stesso vale anche le zone tatuate, ma i punti più comuni erano il polso, sotto il ginocchio, oppure nelle zone della faccia fuori da barba e capelli. I marchi erano di circa 4 centimetri. Durante le riforme del tardo periodo Qing (1644 - 1911) il tatuaggio punitivo venne poi abolito.

Arriviamo ora in Giappone, dove venne fatto un percorso simile, molto probabilmente seguendo le orme dei vicini cinesi, ai quali, fino al periodo Heian, si è guardato molto e molte usanze giapponesi riprendono quelle cinesi. La Cina infatti era cosmopolita e molto avanzata, quindi modello da prendere come esempio.

Il tatuaggio punitivo giapponese, anche se non sappiamo bene se fu copiato dai cinesi o inventato, seppur in modo simile ai vicini, in Giappone, ha delle similitudini nello sviluppo che ben mostrano il contatto tra i due paesi. Tuttavia è bene ricordare che in Giappone era in uso il tatuaggio anche prima dei contatti con la Cina, testimoniato dai ritrovamenti di statuette Dogū, risalenti al periodo Jomon (10.000 a.C. – 300 a.C.) e Haniwa del periodo Kofun (250 – 538) oltre alle testimonianze di annali cinesi, quali il Sānguó Zhì, dove vengono menzionati tatuaggi di abitanti giapponesi fatti probabilmente per protezione. Il tono dei report sui tatuaggi decorativi è comunque dispregiativo, classificato come una cosa da barbari.

Per la prima volta troviamo il tatuaggio punitivo nel Nihon Shoki, il quale narra di eventi avvenuti fino al 697, anche se sono da ritenersi storicamente attendibili solo quelli narrati dal 4° secolo in poi, perché al suo interno vi sono anche tanti elementi mitologici, il tutto per legittimare la sovranità della dinastia regnante. In questo importante testo, insieme ai racconti e agli elementi mitologici al suo interno, si parla anche di criminali tatuati.

Qui viene narrato che, durante il primo anno del regno dell’imperatore Richū履中天皇 , nell’estate del 400 d.C., vi fu un ordine imperiale emanato per Hamako, comandante del clan di Azumi, che dice: "Adesso, insieme al principe Nakatsu, hai complottato per rovesciare lo stato, questa offesa è punibile con la morte. Io tuttavia, conferendoti grande indulgenza, diminuisco la pena, condannandoti al tatuaggio. E fu tatuato il giorno stesso vicino all’occhio."

Sempre nel Nihon Shoki troviamo un’altra citazione sul tatuaggio come pena. Questa volta siamo nell’11° anno del regno dell’imperatore Yūryaku 雄略天皇 , nel 467 d.C. circa, ma le date riguardanti i regni dei primi imperatori sono considerate imprecise dagli storici. Nell’estratto troviamo: "Inverno, 10° mese. Un uccello appartenente all’imperatore venne morso da un cane, appartenente ad un uomo di Uda, e morì. L’imperatore infuriato lo tatuò in faccia e lo costrinse ad assumere il ruolo di guardiano delle gabbie degli uccelli imperiali."

Questo passaggio, anche se probabilmente romanzato, è importante, in quanto preannuncia ciò che sarà l’irezumi negli anni successivi, ovvero una pena per reati minori che costringeva l’individuo ad essere relegato ai margini della società. Nel caso di quest’uomo, la sua pena è stata negligenza, ma il suo gesto l’ha portato a dover assumere una bassa posizione sociale e un lavoro imposto. Questo aspetto rimarrà determinante nei condannati, perché anche in epoche successive, i condannati all’Irezumi venivano relegati fuori dalla società, quindi la loro pena non era un’esplicita schiavitù, ma il tatuaggio poneva l’uomo nella condizione di non poter essere reintegrato nella normalità.

Notizie del Giappone antico non le troviamo solo nel Nihon Shoki, ma una fonte importantissima sono gli annali cinesi, dove vengono annotate anche delle evoluzioni del diritto giapponese, compreso quello penale. Ciò è importante per poter collocare al meglio questo tipo di tatuaggio e la sua evoluzione.

Stando a questi annali, nel primo periodo Kofun 古墳時代 (250 - 538) in Giappone i crimini erano rari, ma con il tempo la struttura della società si complicò e questo portò al bisogno di strutturare piano piano anche il diritto e già dal periodo Asuka飛鳥時代 (538 - 700) si inizia a guardare alle abitudini della Cina. Ma perché proprio alla Cina? All’epoca questo era un paese aperto e frequentato, grazie alla via della seta i mercanti vi avevano portato varie culture ed essa era lo stato asiatico più potente e meglio amministrato, quindi gli inviati giapponesi, sicuramente meravigliati ed affascinati, cercarono di assimilare quanto più possibile per rendere grande anche il proprio paese, all’epoca ancora arretrato rispetto ai vicini.

Il diritto giapponese, che fino ad allora era solo un insieme di regole tramandate in forma orale, inizia quindi a prendere forma in questo periodo. Prima, nel 604, abbiamo il Jūshichijō kenpō十七条憲法 , un insieme di principi morali scritti, composto da 17 articoli, poi arrivarono le riforme Taika大化の改新 del 645, che prendono il nome dagli anni in cui sono state fatte. Questi furono anni in cui venne riorganizzata l’amministrazione dello stato e, nell’occasione, inasprito il diritto penale. Questi anni furono molto importanti e segnano un passaggio importante per il Giappone, ovvero dall’essere un agglomerato di clan organizzati a diventare uno stato vero e proprio.

Uno dei risultati delle riforme Taika fu il Ritsuryō律令 , il sistema di leggi scritto che definisce il sistema penale e amministrativo, cercando di replicare il sistema cinese della dinastia Tang, presa a modello perché i cinesi era da secoli che sviluppavano la giurisprudenza.

Con le riforme Taika del 645 d.C. il tatuaggio come pena sembra cadere in disuso, in realtà lo supponiamo soltanto, semplicemente perché non ci sono documenti dove viene menzionato, quindi non sappiamo se effettivamente era utilizzato oppure no, però lo ritroviamo, anche se non in modo specifico come nei testi successivi, nel Jōei Shikimoku貞永式目 il primo codice di leggi giapponese, del 1232. Questo testo è importantissimo perché dette l’impronta a tutto il sistema legale giapponese fino alla riforma fatta nel periodo Meiji, quindi è stato in vigore per tantissimi anni, seppur con continui aggiornamenti. Più che un codice però era piuttosto una lista di precedenti, raggruppati in 51 articoli, ma ogni volta che si presentava un nuovo caso, veniva portato all’attenzione del Bakufu e aggiornato. Venne poi negli anni modellato e ampliato, anche sulla base delle epoche che ha attraversato.

Nel periodo Muromachi, anche se gli articoli rimasero inalterati, venne inasprito molto il diritto penale. Questi erano anni in cui la pena di morte era molto praticata, ma vennero fatte anche delle importanti aggiunte a questo codice. Nel Jōei Shikimoku si parla di tatuaggi in faccia come punizione, anche se non abbiamo ancora testimonianze riguardo alla sua applicazione; esempi concreti li troveremo solo in anni successivi, mentre il primo esempio documentato di Irezumi è del primo anno del periodo Kansei (1789).

Nonostante la sua menzione nel Jōei Shikimoku, la pena all’Irezumi viene ufficialmente reintrodotta nell’era Kanbun 寛文時代」 (aprile 1661 – settembre 1673), precisamente nel 1670, e sappiamo che inizia a essere praticata sempre più spesso al posto dell’Hanamimisogi, ovvero l’amputazione delle ali del naso e dei lobi delle orecchie.

Un caso esemplare di Hanamimisogi, avvenuto nel 1717 ai danni di sette contrabbandieri che commerciavano di frodo da Cina e Olanda, ha ispirato uno spettacolo scritto prima per il Bunraku, poi per il Kabuki, messo in scena per la prima volta ad Ōsaka nel 1718, chiamato Hakata Kojorō nami maruka博多小女郎浪枕 .

La storia narra del mercante di Kyōto, Sōshichi, che si imbarca in una nave diretta ad Hakata, per comprare la libertà di Kojorō, una cortigiana di cui si era innamorato. Mentre era a bordo, nel vedere alcuni movimenti dell’equipaggio, capisce che si tratta di contrabbando. Nonostante I tentativi di ucciderlo da parte del capitano della nave, un uomo di nome Kuemon, Sōshichi riesce a sopravvivere e raggiungere la terraferma, ma perde tutti i suoi averi, mentre Kuemon, divenuto ricchissimo con il contrabbando è accolto come un re al bordello dove lavora Kojorō. La donna riesce a convincere Kuemon a prendere Sōshichi come socio e i due diventano ricchissimi. Il padre di Sōshichi però capisce che le ricchezze del figlio provengono da traffici illeciti e denuncia la cosa. Dopo varie vicissitudini, con la polizia alle costole Sōshichi si uccide, mentre Kojorō e Kuemon vengono arrestati. Sarà l’imperatore a commutare in esilio e Hanamimisogi la loro sentenza, che prevedeva inizialmente la pena di morte.

Hanamimisogi e Irezumi hanno convissuto per un breve periodo, poi l’Hanamimisogi verrà prima sospesa nel 1709, poi abolita nel 1720, anno in cui è stata pronunciata l’ultima sentenza di condanna. Da questo momento il tatuaggio aveva completamente rimpiazzato l’amputazione e, rispetto a questa vecchia pena, aveva un vantaggio ulteriore, cioè di essere un codice scritto sulla pelle, utile alle autorità per capire la fedina penale ed il luogo di provenienza del criminale. Non solo, l’irezumi era una prova tangibile del potere dello Shōgunato di punire e ben presto i tatuati vennero associati a quelle persone dalle quali stare alla larga, ma sarà proprio questo aspetto che causerà la fine della pena all’Irezumi in Giappone.

Dazai Shundai太宰春台 , uno studioso del periodo Edo, il primo a fare una distinzione tra pensiero morale ed economico, nel suo Keizairoku経済録 del 1729 parla sia di proposte di riforme che di come poter adattare la legge ai cambiamenti della società, menzionando anche varie pene tra cui l’uso dell’irezumi. Lo studioso scrive che lasciare un marchio permanente nel corpo del condannato non solo evita che questo si dimentichi del reato commesso, ma induce la paura in chi lo vede. Questo secondo lui è positivo, perché una punizione che non lascia segni tangibili né nel condannato né in chi lo può vedere fa sì che ci sia la possibilità che il crimine si ripeta.

Circa 100 anni dopo l’inizio dell’era Tokugawa (1603 – 1868) quello conosciuto anche come periodo Edo, l’ottavo imperatore Yoshimune, insediatosi nel 1716, con le riforme di Kyōhō ordina un nuovo codice, il Kujikata Osadamegaki, che verrà completato nel 1742, dove troviamo la pena all’irezumi per reati non così gravi da giustificare la pena di morte. Probabilmente le parole di Shundai e quelle del suo maestro Ogyū Sorai, di anni prima, riflettevano un pensiero comune nei confronti di questa pena che aveva iniziato ad esser sempre più praticata e le riforme praticate dallo Shōgun Yoshimune hanno abbracciato questo pensiero comune, sia per l’Irezumi che per altre pene.

Nonostante, come abbiamo visto, l’Irezumi abbia origini più antiche, è nell’Osadamegaki che vennero codificati i reati specifici per i quali era previsto l’Irezumi.

Nello specifico sono i seguenti articoli dell’Osadamegaki a prevedere l’Irezumi:

  • Art. 37: nel caso di mancata consegna di merci (senza restituirne il controvalore in denaro) del valore inferiore a 10 ryō. Il legislatore probabilmente accosta al furto una mancata consegna di una partita di merce, punendo la mancanza allo stesso modo.
  • Art. 38: dice che veniva prima picchiato e poi tatuato il pilota di una nave cargo il cui carico veniva rubato, ma la scusa ufficiale data alle autorità era quella di un naufragio. Anche in questo caso, il legislatore sembra associare la cosa alla complicità in un furto.
  • Art.43: erano tatuati i servitori che rubavano, prima di fuggire dal proprio padrone, cose dal valore inferiore a 10 ryō, ma se scappavano con beni che gli erano affidati bastava qualcosa dal valore inferiore ad 1 ryō per essere tatuati.
  • Art. 55: per i tiratori di dadi.
  • Art. 56: sempre insieme al Tataki per chi entrava in una casa, dove la porta era aperta e all’interno non vi si trovava nessuno, per rubare. Per furtarelli di denaro per somme inferiori a 10 ryō. Per i membri di una banda che veniva beccata per la seconda volta a rubare piante appartenenti a foreste dello Shōgunato.
  • Art. 64: insieme all’esilio, per chi acquistava o vendeva merce contraffatta.
  • Art. 71: oltre all’Hinin Teka, che sarebbe la relegazione dell’individuo tra i fuoricasta Hinin, e all’esilio in una provincia distante, per chi feriva la propria ex moglie.
  • Art. 85: per i condannati all’esilio che tornavano nelle terre a loro vietate. Se la persona cancellava o modificava i tatuaggi, veniva condannata ad esser nuovamente tatuata, ma con una pena maggiore di quella originariamente assegnata; se commetteva un reato per il quale era prevista la pena dell’irezumi o più grave, questa era commutata in pena di morte. La persona che copriva i tatuaggi ad un criminale era condannata al Tataki. Se una persona già tatuata tornava a rubare, veniva condannata a morte.
  • Art. 86: per le sentinelle che rubacchiavano lungo le strade principali; se rubavano e nascondevano somme inferiori ad 1 Ryō venivano prima bastonate e poi tatuate.

La condanna all’irezumi era data principalmente nelle città e nei luoghi più controllati dal governo, inoltre la sua caratteristica principale era quella di differire nei vari luoghi dove era eseguita, probabilmente per facilitare l’identificazione del luogo dove il condannato aveva operato. In documenti antichi, contenenti dei report, vediamo che esistevano circa 60 irezumi diversi in tutto il Giappone, dei quali sono riuscita a recuperarne 50 in varie fonti antiche che poi ho illustrato nel mio libro dedicato, chiamato "Irezumi, un viaggio nel sistema penale dell’antico Giappone". Per ragioni di spazio, qui inserirò giusto alcuni esempi di Irezumi per mostrare brevemente il loro aspetto.

La maggior parte dei marchi era eseguita sulle braccia, ma ci sono anche esempi di marchi fatti sulla fronte, comunque a parte alcuni kanji come 犬 Inu, che significa cane, fatto in tre volte, per tre condanne diverse, oppure 悪 da Warui che significa cattivo, gli altri segni sono tutti molto semplici, come ad esempio linee.

Le differenze grafiche dei vari Irezumi le dobbiamo probabilmente alla particolarità della situazione politica, dove ogni signore feudale, il Daimyō, legislava liberamente nel proprio dominio, pur attenendosi alla legge dello Shōgunato.

L’irezumi però non era semplicemente un marchio permanente, ma portava la persona all’emarginazione dalla società: un condannato entrava a far parte della classe sociale degli Hinin, ovvero dei fuoricasta, che non erano considerati neanche umani, infatti i Kanji usati per la parola Hinin非人」 indicano proprio “non umano” e le possibilità di poter tornare a condurre una vita normale erano praticamente nulle. La relegazione allo status di Hinin come pena veniva chiamata Hinin Teka.

I marchiati, già di primo acchito, erano inquadrati come persone balorde, non avevano modo di riscattarsi svolgendo attività legali per vivere quindi spesso cercavano di rimuovere l’Irezumi, solitamente bruciandoli con la moxibustione, oppure cercavano di coprire e camuffare i marchi con altri tatuaggi. Altre volte, invece, accadeva che i marchiati si riunivano in gruppi e, servendosi del timore che poteva incutere l’Irezumi nei cittadini, si guadagnavano da vivere estorcendo denaro, usando il tatuaggio stesso come strumento per mettere pressione alla gente e incutere paura.

Quest’ultimo aspetto ha portato a far sì che la pena all’Irezumi, con il tempo, arrivasse ad avere l’effetto opposto a quello desiderato dal legislatore.

Inizialmente lo Shōgunato cercò di risolvere il problema mandando tutti i condannati all’Irezumi ai lavori forzati o in esilio, poi il 25 settembre del 3° anno del Meiji (1870), con il codice penale provvisorio, l’Irezumi come pena fu definitivamente abolito.

Nella maggior parte dei luoghi si faceva un unico segno, ma in alcune città, come ad esempio a Edo, dei cui Irezumi ho dedicato la tavola poco sotto, veniva fatto un primo irezumi parziale e poi, in caso di recidiva, si aggiungevano parti e il termine con il quale si indicano gli irezumi aggiuntivi è Zō Irezumi増入墨」. In genere, dopo una o due recidive, si passava alla pena di morte per decapitazione.

A tal proposito abbiamo anche un resoconto1, qui tradotto alla lettera, del tedesco Philipp Franz von Siebold, un medico, tra l’altro il primo europeo a portare la medicina occidentale in Giappone, che ha lavorato per gli olandesi al porto di Nagasaki dal 1823 al 1830:

Come marchio di punizione degradante, esiste in Giappone una pratica chiamata irezumi, che letteralmente significa inserire inchiostro, e consiste nel tatuare alcuni marchi sulla pelle del detenuto. Di solito sono larghe strisce nere nella parte alta o bassa del braccio, che dipende dalla zona dove è eseguita la condanna. Occasionalmente viene tatuato il carattere cinese Ho [non sappiamo bene quale kanji indichi N.d.T.], in uso nella regione di Aki. A Tamba viene fatto un carattere cinese nel mezzo della fronte. I marchi che ci sono pervenuti, sono quelli che vediamo nella fig. 51 [il dottore ha fatto una sommaria illustrazione con pochi esempi per il suo testo N.d.T.]. In generale il tatuaggio sembra limitarsi alle grandi città e nelle zone più controllate dallo Shōgun. Spesso troviamo gli appartenenti alla classe dei Jetta [la classe degli Eta N.d.T.] tatuati con questi segni, probabilmente delinquenti relegati in questa classe. Questi marchi sono applicati in caso di furto di 10 koban e la prima volta che sono condannati.

Per quanto riguarda l’esecuzione di questa pena, appena catturato, il condannato, se oltre all’Irezumi gli era stata inflitta anche la pena del Tataki, cosa che succedeva spesso, prima veniva colpito ripetutamente davanti all’ingresso della prigione, poi tatuato all’interno dell’edificio. Non necessariamente ogni condannato all’Irezumi veniva anche picchiato, ma in censimenti dell’epoca si riscontra che a Edo circa la metà dei condannati all’Irezumi scontava anche la pena al Tataki.

Al momento dell’esecuzione del tatuaggio, due fuoricasta si occupavano del condannato, uno lo teneva fermo e l’altro eseguiva il marchio. L’irezumi era eseguito da un membro appartenente alla casta degli Eta, l’altro gruppo di fuoricasta oltre agli Hinin solitamente specializzati nel manipolare sangue e cadaveri, sotto la supervisione del capo degli Eta.

Ad occuparsi del criminale veniva designato un appartenente a questa classe sociale perché il condannato, quando veniva eseguito il marchio, sanguinava e solo queste persone potevano fare lavori a contatto con il sangue, considerato tabù dalla società.

Una volta scoperta la parte da tatuare, venivano incise delle ferite della forma del marchio d’infamia con una cinquantina di aghi fissati ad un pezzo di legno, veniva asciugato il sangue e poi passato con entrambe le mani l’inchiostro, quello comune da calligrafia. Una volta tinta la pelle, si ripassavano le ferite e si dipingeva di nuovo il marchio con l’aiuto di un pennello, in modo da far penetrare l’inchiostro ancora più a fondo.

Questo tipo di tecnica la ritroveremo anche nei primissimi Horimono, quando ancora non esistevano le tecniche di Bokashi, ovvero le sfumature, ed i tatuatori inizialmente cercavano di eseguire i primi tentativi per sfumare, imitando il metodo usato per l’Irezumi.

Appena finito il marchio, al condannato veniva applicata della carta sulla parte tatuata, che veniva poi legata, per farla star ferma. Una volta eseguito il tatuaggio, il condannato doveva stare per tre giorni in un edificio chiamato Tame 「溜」, gestito da Hinin, dove di solito si ospitavano i prigionieri malati, i detenuti che avevano meno di 15 anni ed i sospettati. Questo serviva per sorvegliare il condannato in modo che non cercasse di cancellare il marchio nelle fasi iniziali di cicatrizzazione, poi non appena l’inchiostro iniziava ad asciugarsi e le ferite a cicatrizzare, il condannato all’Irezumi veniva rimesso in libertà.

I due Tame di Edo erano ad Asakusa e Shinagawa. Quello di Asakusa era nei pressi della prigione di Kodenmachō, vicino a Senzoku 千束 , mentre quello di Shinagawa era vicino all’attuale stazione di Aomono Yokochō青物横丁駅 .

Questi luoghi nacquero come posto per prendersi cura di persone senza casa e viaggiatori malati, che venivano ricoverati sotto la custodia di persone di rango Hinin, fu in seguito che vennero convertiti come luoghi di ricovero per i condannati.

Successivamente iniziarono ad essere assegnati al Tame, non solo i condannati, ma anche i sospettati. Fu lo Shōgun Yoshimune a farlo diventare anche un luogo per ricoverare i prigionieri di Kodenmachō, quando molto malati.

A dispetto del ruolo di ospizio per i malati, il Tame era comunque un posto sporco, dove ogni anno morivano circa mille persone ed i dottori si limitavano semplicemente a vedere se i condannati malati fossero ancora vivi o meno; diciamo che lo scopo principale del Tame era quello di limitare la diffusione di malattie nelle prigioni. I Tame esistevano anche in altre città come Kyōto ed Ōsaka, ma quelli di Edo sono meglio descritti.

1. Von Siebold, Philip Franz, Nippon: Archiv zur beschreibung von Japan und dessen neben- und schutzländern Jezo mit den südlichen Kurilen, Sachalin, Korea und den Liukiu-inseln, Würzburg und Leipzig, L. Woerl 1897 ↩︎

Questo sito non utilizza tecniche per la profilazione, solo cookies tecnici o di terze parti.
Per maggiori dettagli consultate la Privacy Policy.