Pregiate sonorità
Gli strumenti musicali del teatro nō nella collezione del Museo d’Arte Orientale di Venezia

Scritto da Linda Rosin -

Le note di un flauto e i ritmici suoni di percussioni si diffondono nell’aria mentre, lentamente, l’attore avanza fino al centro del palco; poi una voce, quella dell’interprete, inizia la narrazione con la tipica cadenza di un canto recitato. Si può immaginare questo scenario quando si ammirano gli splendidi strumenti impiegati nel teatro nō, conservati nella raccolta del Museo d’Arte Orientale di Venezia ed esposti nella sala 8.

Il nō è una rappresentazione teatrale considerata la più illustre della tradizione nipponica e codificata intorno alla metà del XIV secolo: nel 1375 vi è la prima esecuzione di un dramma nō alla presenza dello shōgun Ashikaga Yoshimitsu da parte dell’attore Kan’ami Kiyotsugu (1333-1384), insieme al figlio Zeami Motokiyo (1363-1443). Nella performance la musica può accompagnare il canto-recitazione (utaigoto) o no (hayashigoto); quest’ultima modalità di esecuzione si ritrova in precisi momenti del nō: nell’entrata ed uscita dalla scena degli attori, nelle parti danzate, in azioni complesse e nei momenti di interludio come, ad esempio, durante il cambio degli abiti di scena.

Nel percorso espositivo del museo veneziano si incontrano il kotsuzumi (小鼓) lo ōtsuzumi (大鼓), entrambi dalla forma a clessidra, il taiko (太鼓) e un flauto, il nōkan (能管).

Nello specifico, il kotsuzumi, “piccolo tamburo”, è costituito da una cassa di risonanza sulla quale, a entrambe le estremità, sono fermate, grazie a dischi di ferro e a corde di canapa, le membrane realizzate in pelle equina. Tirando le corde si modifica la tensione delle membrane che, nella parte retrostante, possono avere piccole applicazioni in pelle di daino per aggiustare il timbro dello strumento. Inoltre, sempre per controllare la resa del suono, la superficie è inumidita dal percussionista attraverso il proprio respiro o con la punta delle dita bagnate di saliva. Il kotsuzumi si suona posizionandolo sulla spalla destra e tenendolo fermo con la mano sinistra, mentre con un movimento dal basso verso l’alto la mano destra lo percuote.

Il “grande tamburo”, ovvero lo ōtsuzumi, rispetto al piccolo è caratterizzato invece dalla presenza di una sporgenza, chiamata fushi, nella parte mediana della cassa e da pelli più spesse. Per ottenere un suono squillante e alto prima di ogni performance le membrane ben tese sono seccate scaldandole al fuoco. A differenza del kotsuzumi, lo ōtsuzumi si appoggia sulla coscia sinistra assicurandone la stabilità con la mano sinistra mentre la mano destra lo suona.

Il terzo tipo di percussione, il taiko, con il suo suono rivela nello svolgimento della trama la presenza di entità che appartengono alla categoria del non-umano come demoni, divinità, animali o spiriti di piante. Quindi, dato il suo particolare uso, dovuto all’arrivo in scena di tali personaggi, l’esecutore prende solitamente posto sul palco nella seconda parte della rappresentazione. Il tamburo è formato da una cassa a barile corto su cui poggiano le pelli tese grazie a corde e a dischi in metallo. La membrana superiore è rinforzata nella parte centrale da una specie di imbottitura circolare ed è proprio quest’ultima la zona colpita dalle spesse bacchette durante l’esecuzione, mentre il corpo dello strumento si appoggia a un sostegno in legno; quelle stesse bacchette poi, al termine dello spettacolo, verranno riposte in contenitori di seta.

Oltre ai percussionisti, tra i componenti dell’orchestra (hayashi) è presente un suonatore di nōkan che insieme alle voci degli attori e del coro sono gli unici elementi melodici all’interno del dramma nō. Questo strumento, chiamato dagli orchestrali anche fue, è un flauto traverso a sette fori digitali. Il corpo ha un’anima in bambù rivestita da una cordicella realizzata con la parte esterna della corteccia di ciliegio. All’interno del nōkan, posizionato tra l’apertura per l’immissione dell’aria e il primo foro digitale, si trova il nodo, un piccolo tubo in legno di bambù che influisce significativamente sull’altezza delle note, le quali, all’ascolto, risultano per ogni strumento lievemente diverse. La parte interna del flauto è inoltre rivestita di lacca rossa che, non solo rende più rigido il corpo, ma facilita anche l’intonazione dello strumento. All’estremità superiore sono presenti una piccola giunzione lignea che sporge verso il basso e un inserto decorativo, il kashiragane, realizzato in metallo.

È interessante ricordare come non solo sia centrale nella rappresentazione teatrale il suono in sé, ma anche la gestualità che lo accompagna e l’elegante bellezza degli strumenti; quella bellezza che si può ammirare da vicino nei pezzi esposti della collezione veneziana, per la maggior parte risalenti alla fine del periodo Edo (1603-1868). Dalle percussioni al nōkan, essi presentano una lucida superficie rivestita in lacca nera e impreziosita da decorazioni in oro realizzate con la tecnica makie, e qui la fantasia degli artigiani presenta differenti soggetti. Tra i motivi decorativi si ritrovano quelli vegetali; una sorta di giardino fiorito dove l’osservatore può giocare a distinguere diversi elementi naturali come fiori di paulonia, rami di pruno fioriti, racemi di glicine e crisantemi. Anche gli animali sono rappresentati; ad esempio, si ritrovano sulle casse dei taiko un leone e alcune varietà di uccelli, tra le quali delle quaglie. Non mancano nature morte come delle carte da gioco e, quasi in un dialogo di rimandi tra l’oggetto reale e quello raffigurato, due strumenti musicali: il biwa, un liuto dal manico corto, e i binzasara, crotali in legno. Sicuramente cattura l’attenzione la splendida cassa di taiko lungo la quale un possente drago è circondato da un mare agitato da turbinose onde.

Osservare da vicino gli strumenti musicali della collezione di Enrico di Borbone è dunque un prezioso momento per carpire e apprezzare lo squisito lavoro degli antichi artigiani, sia nella costruzione sia nella decorazione di tali esemplari. Questi strumenti musicali intervengono nella complessità della rappresentazione di un dramma nō, non solo con la loro “voce”, ma anche con la loro elegante presenza materiale.


Bibliografia

René Sieffert, Introduzione, in Il segreto del Teatro nō, (1a ed. Parigi 1960), Adelphi, Milano 1982, pp. 13-68.

Kishibe Shigeo (a cura di), Strumenti musicali giapponesi, Istituto Internazionale Di Studi Musicali Comparati, Venezia 1989.

Bonaventura Ruperti, Il nō, in Storia del teatro giapponese dalle origini all’Ottocento, Marsilio, Venezia 2015, pp. 57-90.

Bonaventura Ruperti, Suoni e immagini nel presente, in Scenari del teatro giapponese. Caleidoscopio del nō, Cafoscarina, Venezia 2016, pp. 9-31.

Andrea Giolai, Gli strumenti musicali nel nō. La trama e l’ordito, in Trame giapponesi, catalogo della mostra a cura di Marta Boscolo Marchi (Venezia, Museo d’Arte Orientale 26 marzo – 3 luglio 2022), Antiga, Treviso 2022, pp. 75-98.

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